Per curare il marito, Nora in passato si è indebitata con un certo Krogstad. Per anni ha lavorato per pagare il debito, senza riuscire a liberarsene. Krogstad, che lavora nella banca di cui il marito di Nora è direttore, ricatta la donna perché gli ottenga una promozione. Quando il marito, che per altri motivi lo vorrebbe licenziare, viene a sapere tutto, si preoccupa solo della sua reputazione e rimprovera aspramente la moglie. La meschinità dell'uomo porta Nora a decidere di allontanarsi, per riflettere da sola su se stessa.
Publication Year: 1991
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Questa pièce teatrale mi aveva già molto colpita ai tempi del liceo, già dal titolo, che è un riferimento al fatto che la casa dov’è ambientata la storia appartiene alla protagonista, cioè la bambola, ma non alla Toy Story. Una bambola metaforica, come critica, rivolta in modo sottile, alla condizione di Nora, quindi a quella della donna in generale nell’Ottocento: una donna che prima di essere tale dev’essere figlia e moglie, ed è solo così considerata. Figlia, per di più, in un certo senso anche di suo marito: infatti, il suo unico ruolo è quello di apparire come la creaturina innocente e fragile, inesperta del mondo, di cui prendersi cura, dunque come una bambina senza alcuna facoltà decisionale. All’inizio a lei sembra cadere bene questo ruolo, in quanto non si ribella e lo soddisfa pienamente, perché ciò che conta per il marito e per la società è mantenere le apparenze, e per lei è talmente normale da non farci caso. Tuttavia (ed è proprio qui che la storia e l’inceppo di questo meccanismo prendono piede), non appena lei decide di sua sponte di prendere decisioni finanziarie per aiutare il marito, si scatena il finimondo, ed ecco che lei diventa agli occhi di lui una persona cattiva, terribile e quant’altro, al che lei si rende conto della finzione che vive ogni giorno. Che soddisfazione, quando se ne va!